icerbox Kertesz spettatore by Unknown

autore:Unknown
Format: epub

27 Come in altre annotazioni, anche qui Kertész si riferisce a idee, progetti di opere poi non compiuti. (N.d.T.)

28 “Tempo passato”, in tedesco nel testo. (N.d.T.)

3 ottobre

Si segnano le date. A causa degli eventi. Affinché tu possa saperlo, in futuro. Oggi è martedì. Sabato e domenica ad Anversa. Lunedì, dall’aeroporto direttamente in ospedale. Disastrose condizioni del corpo e dell’anima. Piangevo a calde lacrime, ininterrottamente, provare a nasconderlo non serviva a nulla. Il braccio. Anche la gamba è paralizzata. Non riesce a parlare. Sul letto di morte non riesce a farsi comprendere. Non posso parlare con lei. Non è in grado di dirmi le ultime parole, quelle che vorrebbe ancora che udissi. Non riesce neanche a dire che sente dolore. Oggi sono di nuovo andato a trovarla in ospedale, ma prima ho ricevuto un’applicazione di elettroterapia per curare la mia sciatalgia.

Mi rimprovererò sempre, e non potrei mai decidere diversamente. Quarantadue anni fa (il 14 settembre del 1953) mise la sua vita nelle sue mani perché adesso da me – non concludo questo pensiero, perché non lo si può concludere; pongo male la domanda; non esiste una risposta a questa domanda, e per questo motivo la domanda è sbagliata. Comunque vada, io accetto la morte, e di questo dovrò pagare il prezzo; si porta con sé la parte maggiore della mia vita, quella in cui la creazione ebbe inizio e si è compiuta, come anche quella in cui, vivendo un matrimonio infelice, ci siamo tanto amati. Se l’ho mai conosciuta davvero? Se lei mi ha mai conosciuto davvero? Il nostro amore era simile a un bambino sordomuto, che non fa che stendere le braccia verso il padre e la madre. Il suo amore era vivace, passava attraverso ogni cosa. Dopo aver parlato con Andris, il suo medico, sono tornato da lei nella sua stanza, dove ci siamo abbracciati e baciati a lungo. Poverina, la mano gonfia pendeva paralizzata nella fasciatura che gliela teneva sollevata, e non riusciva ad articolare una sola parola. I suoi gemiti, i lamenti di dolore, che di tanto in tanto parevano dei ghigni e mi spezzavano il cuore, mi accompagneranno fino alla fine dei miei giorni. Uscendo, ho saputo dall’infermiera che da qualche giorno hanno dovuto assicurare il letto con delle sbarre, per evitare che cadesse a terra, di notte: qualche giorno fa è accaduto. Apprenderlo mi ha fatto l’effetto di ricevere il colpo di grazia sulla nuca, il colpo assestato per finirmi. E poi la folla astiosa, sul tram e sull’autobus, che mi ha scalciato e calpestato, ma non senz’animosità, bensì piena di odio vivace; tutti coloro a cui rivolgevo lo sguardo – non l’ho fatto con molti –, hanno restituito uno sguardo di odio, a me o ad altri. Era perfetto. Questo luogo – che chiamano Budapest – è il fondo dell’abisso infernale.

Stamattina ho fatto il bucato e ho appeso le sue camicie da notte ad asciugare sulle grucce: stavano sospese così che vi s’intuivano i movimenti del suo corpo. Sono andato in Török utca, e sul Margit körút le ho comprato una porzione di pollo e riso.

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